venerdì 30 marzo 2012

L'istinto animale e la partenza verso la libertà

Richard Adams, La Collina dei Conigli, BURexploit, Milano 2010, pp. 23-24

I conigli, s'intende, non hanno un'idea precisa del tempo, della puntualità. A tal riguardo essi somigliano molto ai primitivi, cui spesso necessitano parecchi giorni per radunarsi, a qualche scopo, e poi diversi altri prima di mettersi in moto. Fra costoro, prima che riescano ad agire insieme, occorre che si stabilisca una specie di flusso telepatico, fin al punto in cui tutti si rendano conto d'essere pronti a partire. Chiunque abbia osservato, ai primi freddi d'autunno, le rondini e i rondoni radunarsi sui fili del telefono, cinguettare, compier voletti, soli o a piccole squadriglie, verso i campi coperti di stoppie, poi tornare e formare delle file, via via più lunghe, sopra i viali che vanno ingiallendo - centinaia di singoli uccelli che si vanno congregando e amalgamando, con gioia crescente, in grandi frotte, e le varie frotte quindi, disordinatamente, s'uniscono a creare un unico, enorme e inquieto stormo, folto al centro e sbrindellato agli orli, che di continuo si rompe e si riforma come le onde o le nuvole - fino al momento in ci la maggior parte (ma non tutti) capiscono che il momento è giunto : ecco che partono, ecco che è cominciata un'altra volta la grande migrazione verso sud, cui molti non sopravviveranno; chiunque abbia visto questo, ha visto all'opera quel flusso che scorre fra creature le quali si ritengono, in primo luogo, parti d'un gruppo (e solo in via secondaria, se pur affatto, singoli individui) e che da tale flusso vengono fuse insieme, ricevendone l'impulso ad agire, senza cosciente volontà o pensiero [...]

lunedì 30 gennaio 2012

Jakob su Peter nell'istituto Benjamenta

Robert Walser, Jakob von Gunten, Adelphi, Milano 2007, p. 47

Peter non impara assolutamente niente, anche se ne avrebbe bisogno a un punto così grottesco; è chiaro che è entrato nell'Istituto Benjamenta solo per farvi sfoggio delle sue prelibate stupidaggini. Forse vi diventerà abbondantemente ancora più stupido di quanto non fosse; e perché, del resto, dovrebbe essere impedito alla sua stupidaggine di espandersi? Io, per esempio, sono convinto che Peter, nella vita, riporterà un successo addirittura scandaloso, e, strano a dirsi, glielo concedo. E vado anche più lontano. Ho la sensazione - una sensazione molto consolante, pungente e piacevole - che in futuro mi toccherà in sorte un padrone, un sovrano e signore come potrà essere Peter : perché gli stupidi del suo tipo sono creati per farsi avanti, per salire, per la vita agiata e per il comando, mentre quelli in certo senso intelligenti, come me, devono lasciare che il buon impulso che è in loro fiorisca e si afflosci al servizio degli altri. Io, io sarò qualcosa di molto umile, di molto piccolo. Il sentimento che mi assicura di questo ha la natura di un intangibile fatto compiuto. Dio mio, e con tutto ciò ho ancora tanto, tanto coraggio di vivere? Spesso mi faccio un po' paura, ma non per molto tempo. No, no, hi fiducia in me. Ma non è una cosa davvero buffa?

sabato 24 settembre 2011

Giulio Ferroni: dall' Orlando Furioso alla bellezza nel nostro mondo

Giulio Ferroni, Ariosto, Salerno Editrice, Roma 2008, pp. 8-10.

"È una bellezza che ingloba l'errore, il limite, la vanità delle esperienze e dei desideri, l'insufficienza del sapere e della vita sociale, l'impero dell'illusione, della simulazione e dell'inganno (fino all'estremo della follia); e insieme la fedeltà, la dolcezza dei sentimenti, il senso dell'onore e del coraggio. Bellezza trionfante e insieme amara, insidiata dalle contraddizioni infinite di cui è fatto il mondo, dalla stessa realtà storica contemporanea sulla quale apre molteplici squarci: una bellezza con cui sembra sempre più difficile confrontarsi oggi, assaliti da un'esibizione di bello esteriore, da consumare e da violare, in una moltiplicazione translucida e plastificata, invasione simulata, pubblicitaria e turistica, che esclude ogni autentica esperienza.
Viviamo nel tempo dell'estetica diffusa, della proliferazione (sempre più insistente e sempre più illusoria) dell'estetico nel quotidiano. Col design si dà bellezza agli oggetti che ci circondano e la pubblicità ne offre e ne promette molteplici visioni. Per essa dispiega i suoi mezzi un'apposita industria. La inseguono e la esibiscono le più varie forme di spettacolo. Il turismo ci mette in contatto con tutto il bello che si può estrarre dalla natura, dalla storia, dalle arti. Ma questo illimitato consumare bellezza sembra allontanarci da ogni intimità e da ogni coscienza di noi stessi e del mondo. Alla bellezza non chiediamo più di dare un senso e una consistenza alla nostra fragile vita, di riscattarla e "salvarla" dalla sua caducità: la usiamo piuttosto come qualcosa da "gettare via", in un vorticoso gioco di apparenze; e ne facciamo scaturire deviazioni e scarti infiniti, la riduciamo a parte degli orrori del mondo. Tra banalizzazione e degradazione, la produzione della bellezza si risolve in consunzione, sfacelo, trasgressione a vuoto, disintegrazione di spazi vitali. Sembra allora che, come le arti hanno intuito fin dall'età romantica, la bellezza si stia allontanando dall'orizzonte, non sia che un "postumo" fantasma in fuga (la fugitive beauté di Baudelaire). E sembrano mancare guide capaci di farci percepire ancora la vibrazione e la misura dell'arte del passato, che ci aiutino a riconoscerla e a farla nostra.
L'Ariosto è uno di quei pochi autori che ci trasmettono universi di totale dedizione alla bellezza (la famosa armonia di Croce): con un'intensità che, guardata e ascoltata dal nostro essere "dopo", ci spinge ancora a credere nella resistenza della bellezza, nella possibilità di catturarla nel mondo. Certo la sua voce ci parla da lontano, ma con una luce che ci fa sentire che quell'esperienza vitale non può essere del tutto spenta. Parla, come poche altre (a me vengono in mente, prima di tutte, quelle di Mozart e di Proust) in una forma pura che assume in sé tutta la varietà e la contraddittorietà della vita come per bruciarla in un esito assoluto [...] . Essa Risolve l'esistenza e l'essere nel mondo in qualcosa di incommensurabile, che pone domande senza fine, a cui non si può e non si deve trovare ripsosta, ma che sonda in profondità il senso della realtà e della parola, l'evanescenza della vita, il limite della ragione e dell'esperienza."

martedì 20 settembre 2011

La verità dei poeti
















(S. Giovanni ad Astolfo sulla luna)

Son, come i cigni, anco i poeti rari,
poeti che non sian del nome indegni;
sì perché il ciel degli uomini preclari
non pate mai che troppa copia regni,
sì per gran colpa dei signori avari
che lascian mendicare i sacri ingegni;
che le virtù premendo, ed esaltando
i vizi, caccian le buone arti in bando.

Credi che Dio questi ignoranti ha privi
de lo ’ntelletto, e loro offusca i lumi;
che de la poesia gli ha fatto schivi,
acciò che morte il tutto ne consumi.
Oltre che del sepolcro uscirian vivi,
ancor ch’avesser tutti i rei costumi,
pur che sapesson farsi amica Cirra,
più grato odore avrian che nardo o mirra.

Non sì pietoso Enea, né forte Achille
fu, come è fama, né sì fiero Ettorre;
e ne son stati e mille a mille e mille
che lor si puon con verità anteporre:
ma i donati palazzi e le gran ville
dai descendenti lor, gli ha fatto porre
in questi senza fin sublimi onori
da l’onorate man degli scrittori.

Non fu sì santo né benigno Augusto
come la tuba di Virgilio suona.
L’aver avuto in poesia buon gusto
la proscrizion iniqua gli perdona.
Nessun sapria se Neron fosse ingiusto,
né sua fama saria forse men buona,
avesse avuto e terra e ciel nimici,
se gli scrittor sapea tenersi amici.

Omero Agamennòn vittorioso,
e fe’ i Troian parer vili ed inerti;
e che Penelopea fida al suo sposo
dai Prochi mille oltraggi avea sofferti.
E se tu vuoi che ’l ver non ti sia ascoso,
tutta al contrario l’istoria converti:
che i Greci rotti, e che Troia vittrice,
e che Penelopea fu meretrice.

lunedì 30 maggio 2011

David Foster Wallace - Il servizio di pulizie in cabina

da Una cosa divertente che non farò mai più, Minimum Fax, 2001, pp. 64-67

In crociera...

[...] ... è l’esperienza delle pulizie in cabina che forse rappresenta l’estremo esempio della stressante volontà di viziarvi, così stravagante che confonde il cervello. [...] ... la cameriera della cabina 1009 non l’ho vista quasi mai, la diafana Petra dagli epicantici occhi da cerbiatto. Ma ho buoni motivi per credere che lei vede me. Perché ogni volta che lascio la cabina per più di mezz’ora, quando torno è tutta di nuovo pulita e spolverata e gli asciugamani ripiegati e il bagno uno specchio. [...]
Garantisco fermamente che un servizio di pulizia invisibile e misterioso è in un certo senso fantastico, incarna appieno le fantasie di ogni sudicione: qualcuno che si materializza, ti disinsudicia la camera e scompare - è come avere una mamma però senza senso di colpa. [...]
Occorre ammettere che nel tipo di viziatura da personalità A della Nadir c'è qualcosa che può fotterti il cervello e che l'invisibile, maniacale donna delle pulizie fornisce l'esempio più chiaro di quanto sia raccapricciante tutto questo. Perché, a pensarci bene, non è esattamente come avere una mamma. Lasciamo perdere il senso di colpa, quanto sia petulante, eccetera: ma una mamma ti pulisce la camera soprattutto perché ti vuole bene - sei tu il centro, sei tu in qualche modo il vero fine delle pulizie. Sulla Nadir, invece, una volta esaurito il senso di novità e di comodità, comincio a scoprire che tutta questa cura fenomenale non ha niente a che fare con me. (Ed è stato particolarmente traumatico rendermi conto che Petra pulisce la cabina 1009 in modo così straordinario semplicemente perché ha l'ordine di fare così, e quindi (è ovvio) non lo fa per me o perché io le piaccio o pensa che non è problema o io essere molto simpatico - infatti mi avrebbe pulito la cabina in modo altrettanto straordinario anche se io fossi stato un coglione - ed è persino possibile che dietro il sorriso pensi davvero che sono un coglione, e se è così cosa succederebbe se io fossi davvero un coglione? – voglio dire, se il viziare, se la gentilezza radicale non sono motivate da un affetto forte e quindi né ti danno la certezza né ti aiutano a rassicurarti che insomma non sei un coglione, quale profondo e significativo valore vuole avere tutta questa condiscendenza e pulizia?)
La sensazione non è molto diversa da quando siete ospiti a casa di qualcuno che fa cose come intrufolarsi la mattina per rifarvi il letto mentre siete sotto la doccia, vi piega i panni sporchi o li mette in lavatrice senza chiedervelo prima, vi svuota il posacenere dopo ogni sigaretta che fumate, eccettera. Per un po', una padrona di casa del genere vi sembra fantastica, e vi sentite curati, apprezzati, rassicurati e degni ecc. Ma dopo un po' cominciate a intuire che la padrona di casa non si comporta così per affetto o riguardo verso di voi ma più semplicemente obbedisce agli imperativi di qualche sua nevrosi personale che ha a che fare con la pulizia domestica e con l'ordine... e questo significa, visto che obiettivo e oggetto finale della pulizia non siete voi quanto la pulizia e l'ordine in sé, che la vostra partenza sarà per lei un sollievo. Significa che viziarvi dal punto di vista igenico, in realtà, è la prova che non vi vuole tra i piedi. La Nadir non ha il tappeto trattato con prodotti specifici e i mobili ricoperti di plastica come li avrebbe una padrona di casa di tipo anale come quella descritta, ma l'aura psicologica è la stessa, e quindi la vostra partenza susciterà lo stesso sollievo.

venerdì 27 maggio 2011

Italo Calvino - Il commissario Kim e il comandante Ferriera

Da Il sentiero dei nidi di ragno,
Oscar Mondadori 2010, pp. 111-115

Ora il commissario Kim e il comandante Ferriera camminano soli per la montagna buia, diretti ad un altro accampamento.
- Ti sei convinto che è uno sbaglio, Kim? — dice Ferriera.
Kim scuote il capo: - Non è uno sbaglio, - dice.
- Ma sì, - fa il comandante. - È stata un'idea sbagliata la tua, di fare un distaccamento tutto di uomini poco fidati, con un comandante meno fidato ancora. Vedi quello che rendono. Se li dividevamo un po' qua un po' là in mezzo ai buoni era più facile che rigassero dritti.
Kim continua a mordersi i baffi: - Per me, - dice, - questo è il distaccamento di cui sono più contento.
Ci manca poco che Ferriera perda la sua calma: alza gli occhi freddi e si gratta la fronte: - Ma Kim, quando la capirai che questa è una brigata d'assalto, non un laboratorio d'esperimenti? Capisco che avrai le tue soddisfazioni scientifiche a controllare le reazioni di questi uomini, tutti in ordine come li hai voluti mettere, proletariato da una parte, contadini dall'altra, poi sottoproletari come li chiami tu... Il lavoro politico che dovresti fare, mi sembra, sarebbe di metterli tutti mischiati e dare coscienza di classe a chi non l'ha e raggiungere questa benedetta unità... Senza contare il rendimento militare, poi...
Kim ha difficoltà a esprimersi, scuote il capo: - Storie, - dice, - storie. Gli uomini combattono tutti, c'è lo stesso furore in loro, cioè non lo stesso, ognuno ha il suo furore, ma ora combattono tutti insieme, tutti ugualmente, uniti. Poi c'è il Dritto, c'è Pelle... Tu non capisci quanto loro costi... Ebbene anche loro, lo stesso furore... Basta un nulla per salvarli o per perderli... Questo è il lavoro politico... Dare loro un senso...
Quando discute con gli uomini, quando analizza la situazione, Kim è terribilmente chiaro, dialettico. Ma a parlargli cosi, a quattrocchi, per fargli esporre le sue idee, c'è da farsi venire le vertigini. Ferriera vede le cose più semplici: - Ben, diamoglielo questo senso, quadriamoli un po' come dico io.
Kim si soffia nei baffi: - Questo non è un esercito, vedi, da dir loro: questo è il dovere. Non puoi parlar di dovere qui, non puoi parlare di ideali: patria, libertà, comunismo. Non ne vogliono sentir parlare di ideali, gli ideali son buoni tutti ad averli, anche dall'altra parte ne hanno di ideali. Vedi cosa succede quando quel cuoco estremista comincia le sue prediche? Gli gridano contro, lo prendono a botte. Non hanno bisogno di ideali, di miti, di evviva da gridare. Qui si combatte e si muore così, senza gridare evviva.
- E perché allora? - Ferriera sa perché combatte, tutto è perfettamente chiaro in lui.
- Vedi, - dice Kim, - a quest'ora i distaccamenti cominciano a salire verso le postazioni, in silenzio. Domani ci saranno dei morti, dei feriti. Loro lo sanno. Cosa li spinge a questa vita, cosa li spinge a combattere, dimmi? Vedi, ci sono i contadini, gli abitanti di queste montagne, per loro è già più facile. I tedeschi bruciano i paesi, portano via le mucche. È la prima guerra umana la loro, la difesa della patria, i contadini hanno una patria. Cosi li vedi con noialtri, vecchi e giovani, con i loro fucilacci e le cacciatore di fustagno, paesi interi che prendono le armi; noi difendiamo la loro patria, loro sono con noi. E la patria diventa un ideale sul serio per loro, li trascende, diventa la stessa cosa della lotta: loro sacrificano anche le case, anche le mucche pur di continuare a combattere. Per altri contadini invece la patria rimane una cosa egoistica: casa, mucche, raccolto. E per conservare tutto diventano spie, fascisti; interi paesi nostri nemici... Poi, gli operai. Gli operai hanno una loro storia di salari, di scioperi, di lavoro e lotta a gomito a gomito. Sono una classe, gli operai. Sanno che c'è del meglio nella vita e che si deve lottare per questo meglio. Hanno una patria anche loro, una patria ancora da conquistare, e combattono qui per conquistarla. Ci sono gli stabilimenti giù nelle città, che saranno loro; vedono già le scritte rosse sui capannoni e bandiere alzate sulle ciminiere. Ma non ci sono sentimentalismi, in loro. Capiscono la realtà e il modo di cambiarla. Poi c'è qualche intellettuale o studente, ma pochi, qua e là, con delle idee in testa, vaghe e spesso storte. Hanno una patria fatta di parole, o tutt'al più di qualche libro. Ma combattendo troveranno che le parole non hanno più nessun significato, e scopriranno nuove cose nella lotta degli uomini e combatteranno così senza farsi domande, finché non cercheranno delle nuove parole e ritroveranno le antiche, ma cambiate, con significati insospettati. Poi chi c'è ancora? Dei prigionieri stranieri, scappati dai campi di cocnentramento e venuti con noi; quelli combattono per una patria vera e propria, una patri lontana che vogliono raggiungere e che è patria appunto perché è lontana. Ma capisci che questa è tutta una lotta di simboli, che uno per uccidere un tedesco deve pensare non a quel tedesco ma a un altro, con un gioco di trasposizioni da slogare il cervello, in cui ogni cosa o persona diventa un'ombra cinese, un mito?
Ferriera arriccia la barba bionda; non vede nulla di tutto questo, lui. - Non è così - dice. - Non è cosi, — continua Kim, - lo so anch'io. Non è cosi. Perché c'è qualcos'altro, comune a tutti, un furore. Il distaccamento del Dritto: ladruncoli, carabinieri, militi, borsaneristi, girovaghi. Gente che s'accomoda nelle piaghe della società e s'arrangia in mezzo alle storture, che non ha niente da difendere e niente da cambiare. Oppure tarati fisicamente, o fissati, o fanatici. Un'idea rivoluzionaria in loro non può nascere, legati come sono alla ruota che li macina. Oppure nascerà storta, figlia della rabbia, dell'umiliazione, come negli sproloqui del cuoco estremista. Perché combattono, allora? Non hanno nessuna patria, né vera né inventata. Eppure tu sai che c'è coraggio, che c'è furore anche in loro. È l'offesa della loro vita, il buio della loro strada, il sudicio della loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di dover essere cattivi. E basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell'anima e ci si trova dall'altra parte, come Pelle, dalla brigata nera, a sparare con lo stesso furore, con lo stesso odio, contro gli uni o contro gli altri, fa lo stesso.
Ferriera mugola nella barba: - Quindi, lo spirito dei nostri... e quello della brigata nera... la stessa cosa?...
- La stessa cosa, intendi cosa voglio dire, la stessa cosa... - Kim s'è fermato e indica con un dito come se tenesse il segno leggendo; - la stessa cosa ma tutto il contrario. Perché qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa, là ci si ribadisce la catena. Quel peso di male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto. Ma allora c'è la storia. C'è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall'altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m'intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un'umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L'altra è la parte dei gesti perduti; degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell'odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi. Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l'operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione. Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l'uomo contro l'uomo.
Di Ferriera, nel buio, si vedono l'azzurro degli occhi e il biondo della barba: scuote il capo. Lui non conosce il furore: è preciso come un meccanico e pratico come un montanaro, la lotta è una macchina esatta per lui, una macchina di cui si sa il funzionamento e lo scopo.
- Pare impossibile, - dice, - pare impossibile che con tante balle in testa tu sappia fare il commissario come si deve e parlare agli uomini con tanta chiarezza. A Kim non dispiace che Ferriera non capisca: agli uomini come Ferriera si deve parlare con termini esatti, « a, bi, ci » « deve dire, le cose sono sicure o sono « balle », non ci sono zone ambigue ed oscure per loro. Ma Kim non pensa questo perché si creda superiore a Ferriera: Il suo punto d'arrivo è poter ragionate come Ferriera, non aver altra realtà all'infuori di quella di Ferriera, tutto il resto non serve.

È probabile che avremo sempre più bisogno di ricordare cosa significa essere partigiani, ma anche di capire perché si diviene partigiani. "Utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l'uomo contro l'uomo". La grande umanità di Kim-Calvino è nella comprensione del significato totale che sta alla base di ogni lotta, al di là delle fazioni del momento e dei significati ufficiali. "Non c'è nulla di più doloroso al mondo di essere cattivi", penserà successivamente Kim. La sofferenza è la radice della malvagità e si trasmette e amplifica come in una catena; alimenta il potere che la usa per schiacciare e ridurre al ricatto, alla miseria, all'umilazione. Uomo contro uomo. Per redimersi da essa ci si ritrova per un nonnulla da una parte o dall'altra. Senza saperlo, quasi per caso, attraverso mille zone d'ombra. Le ragioni sono spesso nebulose e confuse. Ognuno cerca un proprio riscatto attraverso un furore, una fazione, ed ogni gesto si inserisce in un mito - individuale o collettivo - che trascende tutto, che riassume in senso Universale il significato d'ogni lotta. Chi può giudicare nettamente? È la stessa incertezza delle riflessioni sulla giustizia di Dürrenmatt. Ma da un parte ogni gesto andrà perduto, utilizzato per perpetuare la catena. Dall'altra, ogni piccolo gesto farà la storia, ogni furore sarà stato utile come possibilità di riscatto e redenzione per il genero umano.
"Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla storia di domani, sulla storia di domani del genere umano [...] Cosa faranno «dopo», per esempio? Riconosceranno nell'Italia del dopoguerra qualcosa fatta da loro? Capiranno il sistema che si dovrà usare allora per continuare la nostra lotta, la lunga lotta sempre diversa del riscatto umano?".
Dobbiamo capire qual è quel sistema, ora che stiamo dimenticando tutto, ora che siamo ottenebrati e incoscienti forse come mai.