sabato 24 settembre 2011

Giulio Ferroni: dall' Orlando Furioso alla bellezza nel nostro mondo

Giulio Ferroni, Ariosto, Salerno Editrice, Roma 2008, pp. 8-10.

"È una bellezza che ingloba l'errore, il limite, la vanità delle esperienze e dei desideri, l'insufficienza del sapere e della vita sociale, l'impero dell'illusione, della simulazione e dell'inganno (fino all'estremo della follia); e insieme la fedeltà, la dolcezza dei sentimenti, il senso dell'onore e del coraggio. Bellezza trionfante e insieme amara, insidiata dalle contraddizioni infinite di cui è fatto il mondo, dalla stessa realtà storica contemporanea sulla quale apre molteplici squarci: una bellezza con cui sembra sempre più difficile confrontarsi oggi, assaliti da un'esibizione di bello esteriore, da consumare e da violare, in una moltiplicazione translucida e plastificata, invasione simulata, pubblicitaria e turistica, che esclude ogni autentica esperienza.
Viviamo nel tempo dell'estetica diffusa, della proliferazione (sempre più insistente e sempre più illusoria) dell'estetico nel quotidiano. Col design si dà bellezza agli oggetti che ci circondano e la pubblicità ne offre e ne promette molteplici visioni. Per essa dispiega i suoi mezzi un'apposita industria. La inseguono e la esibiscono le più varie forme di spettacolo. Il turismo ci mette in contatto con tutto il bello che si può estrarre dalla natura, dalla storia, dalle arti. Ma questo illimitato consumare bellezza sembra allontanarci da ogni intimità e da ogni coscienza di noi stessi e del mondo. Alla bellezza non chiediamo più di dare un senso e una consistenza alla nostra fragile vita, di riscattarla e "salvarla" dalla sua caducità: la usiamo piuttosto come qualcosa da "gettare via", in un vorticoso gioco di apparenze; e ne facciamo scaturire deviazioni e scarti infiniti, la riduciamo a parte degli orrori del mondo. Tra banalizzazione e degradazione, la produzione della bellezza si risolve in consunzione, sfacelo, trasgressione a vuoto, disintegrazione di spazi vitali. Sembra allora che, come le arti hanno intuito fin dall'età romantica, la bellezza si stia allontanando dall'orizzonte, non sia che un "postumo" fantasma in fuga (la fugitive beauté di Baudelaire). E sembrano mancare guide capaci di farci percepire ancora la vibrazione e la misura dell'arte del passato, che ci aiutino a riconoscerla e a farla nostra.
L'Ariosto è uno di quei pochi autori che ci trasmettono universi di totale dedizione alla bellezza (la famosa armonia di Croce): con un'intensità che, guardata e ascoltata dal nostro essere "dopo", ci spinge ancora a credere nella resistenza della bellezza, nella possibilità di catturarla nel mondo. Certo la sua voce ci parla da lontano, ma con una luce che ci fa sentire che quell'esperienza vitale non può essere del tutto spenta. Parla, come poche altre (a me vengono in mente, prima di tutte, quelle di Mozart e di Proust) in una forma pura che assume in sé tutta la varietà e la contraddittorietà della vita come per bruciarla in un esito assoluto [...] . Essa Risolve l'esistenza e l'essere nel mondo in qualcosa di incommensurabile, che pone domande senza fine, a cui non si può e non si deve trovare ripsosta, ma che sonda in profondità il senso della realtà e della parola, l'evanescenza della vita, il limite della ragione e dell'esperienza."

martedì 20 settembre 2011

La verità dei poeti
















(S. Giovanni ad Astolfo sulla luna)

Son, come i cigni, anco i poeti rari,
poeti che non sian del nome indegni;
sì perché il ciel degli uomini preclari
non pate mai che troppa copia regni,
sì per gran colpa dei signori avari
che lascian mendicare i sacri ingegni;
che le virtù premendo, ed esaltando
i vizi, caccian le buone arti in bando.

Credi che Dio questi ignoranti ha privi
de lo ’ntelletto, e loro offusca i lumi;
che de la poesia gli ha fatto schivi,
acciò che morte il tutto ne consumi.
Oltre che del sepolcro uscirian vivi,
ancor ch’avesser tutti i rei costumi,
pur che sapesson farsi amica Cirra,
più grato odore avrian che nardo o mirra.

Non sì pietoso Enea, né forte Achille
fu, come è fama, né sì fiero Ettorre;
e ne son stati e mille a mille e mille
che lor si puon con verità anteporre:
ma i donati palazzi e le gran ville
dai descendenti lor, gli ha fatto porre
in questi senza fin sublimi onori
da l’onorate man degli scrittori.

Non fu sì santo né benigno Augusto
come la tuba di Virgilio suona.
L’aver avuto in poesia buon gusto
la proscrizion iniqua gli perdona.
Nessun sapria se Neron fosse ingiusto,
né sua fama saria forse men buona,
avesse avuto e terra e ciel nimici,
se gli scrittor sapea tenersi amici.

Omero Agamennòn vittorioso,
e fe’ i Troian parer vili ed inerti;
e che Penelopea fida al suo sposo
dai Prochi mille oltraggi avea sofferti.
E se tu vuoi che ’l ver non ti sia ascoso,
tutta al contrario l’istoria converti:
che i Greci rotti, e che Troia vittrice,
e che Penelopea fu meretrice.